domenica 23 gennaio 2011

CUFFARO IN CARCERE

Subito dopo la sentenza l'ex governatore si è costituito a Rebibbia

«Affronto questa prova, insegnamento
che lascerò come esempio ai miei figli»

 La Madonna prima delle sbarre. L'ultimo giorno da uomo libero, Totò Cuffaro, l'ex governatore della Sicilia, l'ha passato raccolto in preghiera.

Palermo. La condanna è definitiva e l'ex governatore Salvatore Cuffaro dovrà scontare in carcere quanto inflittogli dalla Corte di Appello di Palermo. I giudici della Cassazione, dopo tre ore e mezzo di camera di consiglio, hanno condiviso nella quasi totalità le motivazioni della sentenza di secondo grado del processo alle cosiddette «talpe della Dda», in cui Cuffaro era imputato per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio.
Gli "ermellini" della seconda sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Antonio Esposito, hanno rigettato il ricorso dell'ex governatore contro il verdetto emesso lo scorso 23 gennaio. Con questa decisione presa con poco più di tre ore di camera di consiglio, la Suprema Corte ha confermato in pieno il verdetto d'appello disattendendo, in questo modo, le richieste avanzate dal sostituto procuratore generale Giovanni Galati che, nella requisitoria dell'altro ieri, aveva chiesto di eliminare l'aggravante mafiosa nei confronti di Cuffaro, sostenendo che l'ex governatore della Sicilia aveva rivelato informazioni riservatissime sulle indagini della Procura di Palermo, finendo per favorire singoli mafiosi, mentre «non è stato provato che l'imputato abbia favorito l'intero sodalizio criminale mafioso». Da qui la sua richiesta disattesa di eliminare l'aggravante prevista dall'art. 7 del Codice di procedura penale. Conseguentemente, il pg aveva chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado e una riduzione della pena.
È molto amareggiato l'avvocato Oreste Dominioni dopo la lettura del dispositivo da parte del presidente Esposito. «È una sentenza - dice - che desta stupore e rammarico anche perché la Procura della Cassazione, con una richiesta molto argomentata, aveva chiesto l'annullamento dell'aggravante mafiosa per l'episodio di favoreggiamento a Michele Aiello, richiesta che se accolta avrebbe sgonfiato del tutto la condanna». Per quanto riguarda la pena da scontare, spiega lo stesso penalista, che in Cassazione ha difeso l'ex presidente della Regione insieme con l'avvocato Nino Mormino, si dovranno fare i calcoli tenendo conto che «godrà di un condono e delle riduzioni di pena che potranno esserci per buona condotta».
La Cassazione ha confermato anche le condanne degli altri dieci imputati. Gli "ermellini" hanno dichiarato, infatti, inammissibile il ricorso dell'ex «re Mida» della sanità privata siciliana, Michele Aiello, ritenuto l'alter ego del boss Provenzano, condannandolo a 15 anni e 6 mesi per avere organizzato una rete di spionaggio che svelava le notizie sulle indagini della Procura distrettuale antimafia.
Pena ridotta, invece, sia pure di poco, rispetto agli otto anni inflitti dalla Corte di Appello, per Giorgio Riolo, l'ex maresciallo del Ros che deve scontare sette anni, cinque mesi e dieci giorni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Nei suoi confronti la Cassazione ha dichiarato la prescrizione per due capi di imputazione, dichiarando il ricorso inammissibile nel resto. Ricorso rigettato anche per il dirigente della divisione anticrimine della Procura di Palermo, Giacomo Venezia (tre anni di reclusione). Diventano inoltre definitive le condanne inflitte dalla Corte d'Appello di Palermo ad Antonella Buttitta (sei mesi); al radiologo Aldo Carcione (quattro anni e sei mesi); a Roberto Rotondo un anno); a Michele Giambruno (nove mesi); al direttore del distretto sanitario di Bagheria, Lorenzo Iannì (quattro anni e sei mesi); a Salvatore Prestigiacomo (nove mesi); ad Angelo Calaciura (due anni).
Letto il dispositivo della sentenza, oltre a Cuffaro in carcere sono finiti Michele Aiello e l'ex maresciallo Giorgio Riolo. Il primo è stato arrestato dai carabinieri a Bagheria, in esecuzione di un ordine di carcerazione firmato dal sostituto procuratore generale di Palermo, Enza Sabatino, e rinchiuso nel carcere Pagliarelli. Riolo, che si è costituito ai carabinieri di Piana degli Albanesi, il paese dove risiede, è stato trasferito nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.
Con la sentenza della Cassazione cala il sipario sull'inchiesta giudiziaria coordinata dai pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino che si concretizzò con il clamoroso arresto, il 5 novembre 2003, del maresciallo Riolo e del sottufficiale della Dia, Giuseppe Ciuro, poi processato e condannato con rito abbreviato. L'indagine permise di individuare, oltre alla rete di spionaggio organizzata da Aiello, anche una serie di truffe ai danni del sistema sanitario regionale nonché i rapporti esistenti tra il boss Giuseppe Guttadauro e vari esponenti politici tra cui lo stesso Cuffaro.

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